Una guida alle farfalle della provincia di Siracusa

Lo studioso dilettante che con ingenua curiosità si avvicina per la prima volta all'affascinante mondo delle farfalle, come anche l'entomologo professionista, si trovano a fare i conti con un importante difetto di fondo che accomuna tutti i testi, specialistici e non, dedicati all'argomento: per quanto possano essere descritte ed elencate tutte le specie di una determinata area geografica, le mappe relative alla loro distribuzione all'interno di quell'area mancano di precisione, talvolta ignorando i limiti esatti di occorrenza dei Lepidotteri in ambienti distinti di una stessa regione zoogeografica.

I Lepidotteri: introduzione allo studio

Un gioco di forme e colori: i Lepidotteri
Sono in molti a considerare le farfalle, nella classe degli insetti, i più conosciuti e belli, in virtù delle loro forme e colori straordinari. Le farfalle appartengono all'ordine dei Lepidotteri, che conta circa 165.000 specie e deve il suo nome all'unione di due vocaboli greci (lepis, "squama" e pteron, "ala") che significa "dalle ali coperte di squame". Del resto, proprio il possesso di ali membranose ricoperte di minuscole scagliette di forma piatta, ad esclusione di talune specie dove figurano femmine attere, è un requisito necessario e sufficiente per il riconoscimento di un lepidottero.
Come per gli altri rappresentanti della classe degli insetti, anche i Lepidotteri si caratterizzano per il possesso di sei paia di zampe articolate e per la netta separazione del corpo in capo, torace e addome. Di seguito forniremo le caratteristiche generali del corpo di un lepidottero.
Il capo. I Lepidotteri presentano un capo ipognato (il capo è verticale ei pezzi boccali sono situati in basso), solitamente ben separato dal torace, sul quale spicca un paio di occhi composti quasi sempre ben sviluppati e a volte due occhi semplici, chiamati ocelli. Sul capo sono inoltre presenti due antenne multiarticolate e di varia lunghezza, a volte a forma di clava, altre volte a forma di pettine, oppure ancora bipettinate, filiformi o variamente ramificate. Le differenti configurazioni rivelano a volte il dimorfismo sessuale, fenomeno per cui i due sessi hanno differenze legate alla forma, al colore o alle dimensioni.
L'apparato boccale. Questo apparato raggiunge in quasi tutte le famiglie dell'ordine una complessità caratteristica. Esso è solitamente di tipo succhiatore; in certi casi è perforante, per permettere all'insetto di raggiungere l'alimento senza difficoltà.
L'apparato boccale dei Lepidotteri deriva da quello masticatore, e presenta mandibole generalmente rudimentali, mentre parti delle prime mascelle (le "galee") si allungano per formare, lungo la faccia ventrale, una sorta di tubo, chiamata proboscide. Talvolta questo organo assume lunghezze considerevoli e viene avvolto a spirale sotto il capo dell'insetto; in questo caso esso prende il nome di spirotromba. L'avvolgimento è permesso da una serie di semianelli sclerificati, alternati a tratti membranosi. Questo complesso dipende dal lavoro di numerosi e brevi muscoli che attraverso movimenti di contrazione ne permettono l'avvolgimento, mentre l'estensione dipende probabilmente dall'aumento della pressione del liquido circolante nei vasi della spirotromba, spintovi dalla contrazione di appositi muscoli.
La nutrizione avviene attraverso la spirotromba, che permette ai lepidotteri di aspirare il nutrimento attraverso una pompa derivata dalla modificazione della faringe. Per aspirare il nettare, la farfalla estroflette la proboscide e la introduce nella corolla del fiore o nell'alimento liquido, come quello rappresentato dai frutti fermentati.
Il torace. Il torace è composto da tre segmenti, ai quali sono collegati le due paia di ali e le tre paia di zampe. Queste ultime sono solitamente gracili e non adatte ad una vera e propria deambulazione. A volte, poi, si modifcano fino a scomparire del tutto, come nei rappresentanti della famiglia Nymphalidae, che presentano, come vedremo, il primo paio di zampe atrofizzato.
L'addome. L'addome è costituito da dieci segmenti o uriti, a volte non riconoscibili per via della trasformazione che hanno subito in certe specie in rapporto allo sviluppo dell'apparato genitale esterno. Nell'addome è possibile individuare un parte dorsale, detta tergite, e una ventrale, chiamata sternite, separate da aree laterali membranose. Il segmento anale è privo di cerci. L'apparato genitale femminile può presentare un unico sbocco o due, nel secondo caso si nota un'ulteriore sbocco nel 7° o 8° urosternite utilizzato per la copula.
Sensi dei Lepidotteri: la vista. Gli studi finalizzati a mettere in luce le caratteristiche fisiologiche, anatomiche e comportamentali del Lepidotteri hanno portato a risultati interessanti. Le prime teorie sulle modalità con cui si attua la visione negli insetti, poi risultate estendibili anche a Lepidotteri, furono elaborate da Exner e Muller alla fine dell'800.
L'occhio composto dei Lepidotteri è formato dalla giustapposizione di numerose unità fondamentali, gli ommatidi. Ciascun ommatidio è formato da una corneola, da un cono cristallino, da una parte sensibile o retinula e da alcune cellule accessorie, chiamate pigmentarie. Negli Eteroceri in generale tra le cellule pigmentarie e il cono cristallino si inserisce uno strato particolarmente riflettente, chiamato tappeto. Questa struttura, formata da trachee piene d'aria, è responsabile della vistosa iridescenza degli occhi.
Nei Lepidotteri è possibile riscontrare due diversi sistemi di visione:
- Per apposizione, come avviene per molte specie diurne e ottime volatrici, in cui ogni singolo ommatidio è isolato da quelli vicini grazie alle cellule pigmentarie e quindi riceve solo i raggi luminosi che possono attraversare la propria corneola. In questo caso la figura che si ottiene è data dall'insieme di tanti punti quanti sono gli ommatidi;
- Per sovrapposizione, come avviene nelle falene, in cui gli ommatidi non sono otticamente isolati gli uni dagli altri, perciò la parte sensibile dell'occhio composto riceve contemporaneamente i raggi luminosi penetrati in un gruppo di ommatidi contigui. In questo caso la figura che si ottiene è il risultato di immagini sovrapposte ed è anche più luminosa.

Bigliografia:
- P. Passerin d'Entrèves e Mario Zunino, "La vita segreta degli Insetti", Istituto geografico De Agostini (Novara), 1975.
- Foto: Foto a colori con licenide http://www.insetti.org/ordini/lepidotteri.php
- Foto: dettaglio del capo: http://www.listolade.it/lepidotteri.htm

Farfalle e Falene, due mondi differenti

Sebbene il termine farfalla sia comunemente utilizzato per indicare tutti i rappresentanti dell'ordine dei Lepidotteri, ad un livello meno ampio è possibile in realtà operare una distinzione tra due grandi gruppi, che differiscono per una serie di caratteristiche ricorrenti nei loro membri, come i colori sgargianti o meno delle ali e l'attività diurna o notturna: stiamo parlando della distinzione tra farfalle e falene.
Delle circa 170.000 specie di Lepidotteri descritte, solo un decimo sono farfalle propriamente dette, o diurne. Le rimanenti sono infatti da ascriversi alle falene, che si differenziano dalle prime per l'assenza di colori particolarmente sgargianti sulle ali e le abitudini di volo tipicamente notturne.
L'evoluzione dei Lepidotteri: una ricostruzione. Dal punto di vista evolutivo, le farfalle diurne risultano essere le ultime arrivate sulla Terra. I più antichi resti fossili di Lepidotteri appartengono infatti a falene, e risalgono ad un'epoca compresa fra 100 e 140 milioni di anni fa. Resti di farfalle diurne risalgono ad epoche più recenti, seppure altrettanto remote, intorno a 40 milioni di anni fa. Si ritiene che i Tricotteri, ordine di insetti vicino a quello dei Lepidotteri, abbiano avuto origine circa 250 milioni di anni fa, ma forme di passaggio fra i due gruppi devono ancora essere individuate. Ad ogni modo, i Lepidotteri fecero la loro comparsa in un periodo in cui le piante con fiori iniziarono a proliferare. Piante, farfalle e falene si sono perciò sviluppate insieme in uno stretto legame fin da allora.
Farfalle e Falene: una distinzione netta. Alle farfalle propriamente dette, chiamate anche diurne e nel linguaggio scientifico Ropaloceri, appartengono Lepidotteri generalmente caratterizzati da ali dai colori vivaci, antenne clavate e dalla tipica posizione di riposo con le ali reciprocamente accostate al disopra del dorso. Inoltre, nelle farfalle la base delle ali posteriori è espansa e rinforzata in modo da appaiarsi all'ala anteriore e sostenerla durante il volo. Anche gli Esperidi, farfalle ritenute fino a non molto tempo fa falene, presentano queste caratteristiche.
Tra i rappresentanti delle falene, chiamate anche farfalle notturne e nel linguaggio scientifico Eteroceri, c'è molta più varietà di quella riscontrabile nelle farfalle. In generale, però, esse sono caratterizzate da antenne filiformi o pennate, prive di apici clavati, e presentano un particolare meccanismo di agganciamento delle ali, consistente in setole presenti sulla base delle ali posteriori, che si incastrano in una piega o in una struttura di "cattura" delle ali anteriori. I maschi posseggono setole robuste, mentre le femmine presentano numerose setole esili. Quanto alle abitudini notturne e ai colori smorti, questi ultimi non possono essere considerati fattori discriminanti, dato che molte falene volano durante il giorno e sono dotate di colori appariscenti al pari delle più belle farfalle diurne.
Ad ogni modo, è bene sottolineare come recentemente la distinzione tra farfalle e falene abbia cominciato a non essere più ritenuta valida dagli studiosi, che attualmente si limitano ad utilizzarla come distinzione di comodo, al pari di quella tra Microlepidotteri e Macrolepidotteri.

Nelle foto degli esempi: in alto, Pontia daplidice (Pieridae), nella tipica posizione di riposo delle farfalle diurne; in basso, Acherontia atropos (Sfingidae), nella posizione di riposo tipica delle falene, ottenuta grazie al particolare agganciamento delle ali.

Fonti:
- Foto dell'Acherontia atropos: Focus.it
- Foto del Macaone biolib.cz; foto Brahmaea godofinsects.com
- Farfalle e Falene, David Carter, Dorling Kindersley Handbooks, 1993.

Ali come dipinti di scaglie su tela

È indubbio che l'apprezzamento riscosso dalle farfalle presso chi si avvicina al mondo degli insetti sia dovuto in larga misura alla bellezza delle loro ali, che a buon diritto possono definirsi dipinti di scaglie su tela. Ma, bellezza a parte, le ali delle farfalle svolgono soprattutto la necessaria funzione di consentire all'insetto l'attività del volo. Di solito le ali delle farfalle presentano ampie dimensioni, con le anteriori più estese delle posteriori. Le ali sono mantenute estese dalle venature, piccolissimi canali che si ramificano al loro interno e che contengono vasi, nervi e trachee.
Generalmente, come avviene nella maggior parte degli insetti superiori, durante il volo le ali anteriori si uniscono alle posteriori in modo da consentirne il battito sincrono.
Durante il riposo, poi, le ali delle farfalle vengono disposte inclinate a tetto, o in posizione orizzontale sull'addome, oppure rialzate e combacianti tra loro con le facce dorsali. In certi casi esse vengono mantenute aperte nella posizione di volo; in altri le ali posteriori possono ripiegarsi su se stesse per essere mantenute, nella posizione di riposo, sotto le ali anteriori.
I colori delle ali delle farfalle dipendono dalla presenza, sulle superfici membranose delle pagine alari, di un gran numero di squame o scaglie colorate.
Le squame sono appendici tegumentali, cave, prodotte da cellule epidermiche specializzate. Sono generalmente larghe e sottili e mostrano le facce esterne percorse da carene o strie longitudinali, spesso collegate da trabecole trasverse. Internamente le squame sono rinforzate da sbarrette cuticolari che le attraversano secondo il diametro più breve e contengono comunemente pigmenti. La loro estremità distale può presentare il margine integro oppure dentellato, frangiato o ancora di altre forme; si inseriscono, per mezzo della loro estremità peduncolata, in apposite "tasche" sull'ala, disposte regolarmente o irregolarmente, a volte come gli embrici di un tetto, o in due strati sovrapposti. Come già detto, non sempre e non tutte le zone dell'ala si presentano ricoperte da squame; le regioni prive appaiono trasparenti.
Esistono infine particolari squame chiamate androconi, squame collegate a ghiandole odorifere presenti nelle ali dei maschi di alcune specie, con lo scopo di attirare le femmine. Un esempio è rappresentato dal maschio di Argynnis paphia (nella foto a sinistra), che reca sulle ali anteriori strisce di squame androconiali.
Fenomeni di atrofia nei Lepidotteri. In un precedente paragrafo si accennava ai fenomeni di atrofia che in certi casi caratterizzano alcune specie di Lepidotteri. Questo fenomeno interessa raramente solo un paio di ali, e in generale riguarda le femmine di alcune specie (nella foto, una femmina di Erannis defoliaria). Del resto, le femmine delle farfalle hanno quasi tutte la tendenza a volare molto meno del maschio, anche quando in possesso di ali di dimensioni e forma normali.
Il fenomeno della riduzione delle ali prende il nome di brachitterismo e comprende al suo interno una serie di forme differenti che vanno dalla semplice riduzione delle dimensioni delle ali fino all'atterismo completo. Forme di brachitterismo comuni a entrambi i sessi sono state riscontrate solamente in due specie di Microlepidotteri delle isole antartiche.
A tutt'oggi gli studiosi sono dell'avviso che i fenomeni di brachitterismo presso i Lepidotteri siano legati all'ambiente circostante: femmine brachittere o completamente attere appartengono a specie che vivono nelle zone di montagna o a clima freddo o, all'opposto, in steppe o zone subdesertiche. Ad ogni modo, la correlazione tra brachitterismo e ambiente non è ancora stata chiarita.
Dietro disegni e colori la struttura nanometrica. Come riportato da Galileo, il fisico Marco Giraldo dell'Università di Groninga (Paesi Bassi), ha ottenuto risultati di notevole interesse a partire da studi tesi a dimostrare il collegamento tra il colore delle ali delle farfalle e la struttura nanometrica della pagina alare. Osservando al microscopio alcune Cavolaie, il fisico ha notato come le ali delle farfalle siano ricoperte da un gran numero di scaglie pigmentate, ciascuna di circa 50 per 250 micron, che si compongono in un'immagine macroscopica, proprio come avviene con i pixel delle fotografie digitali. Sebbene la struttura delle scaglie cambia da specie a specie, Giraldo ha osservato un certo numero di caratteristiche generali comuni: ognuna presenta una serie di lunghe creste parallele, distanti fra loro uno o due micron, e il colore e l'effetto cangiante dipendono dalla dispersione della luce che incide sulle nanostrutture e dall'assorbimento proprio di ciascun pigmento. Ogni ala inoltre è rivestita da un doppio strato di scaglie: ciò consente di riflettere la luce con più intensità e l'effetto sarebbe ancora maggiore se ci fossero ulteriori strati, ma la struttura risulterebbe troppo pesante.
Le fonti del colore. L'origine del colore delle ali delle farfalle può essere ricondotta in linea di massima a due fenomeni di natura differente. I colori possono infatti derivare da fenomeni ottici di interferenza o di diffrazione della luce sulle squame, simili a quelli che interessano la superficie delle bolle di sapone dal colore iridescente. Hanno origine fisica, per esempio, i colori delle ali delle farfalle brasiliane del genere Morpho, oppure quelli che caratterizzano molti rappresentanti della famiglia dei Licenidi. Si tratta di colori cangianti, che sembrano aumentare o diminuire di intensità in base all'angolo di visuale da cui la farfalla viene osservata. Anche i colori bianchi hanno origine fisica, risultando dalla dispersione, dalla riflessione e dalla rifrazione della luce da parte delle squame. I colori di tipo fisico vengono anche chiamati colori strutturali.
D'altra parte, esiste un altro fenomeno da cui derivano i colori delle ali delle farfalle: si tratta delle fonti di natura chimica. In questo caso le tinte dipendono dal colore degli stessi pigmenti, sostanze chimiche presenti nel corpo del lepidottero, che hanno la proprietà di assorbire alcune onde luminose mentre ne riflettono altre. In questo caso i colori originati vengono detti pigmentali, che a loro volta possono ricondursi a due categorie distinte:
- Pigmenti di origine endogena, secreti dalle cellule dell'insetto stesso
- Pigmenti di origine esogena, provenienti dall'ambiente esterno e assunti in generale attraverso l'alimento.
In generale, bisogna tuttavia sottolineare come i colori delle ali delle farfalle siano originati da una combinazione di fenomeni di natura sia fisica sia chimica.
I colori, inoltre, assumono particolari significati nella vita delle farfalle: talvolta distinguono i due sessi, a volte cambiano tra individui all'interno della stessa specie in base alle generazioni di appartenenza degli individui stessi (in questo caso i colori sono influenzati dalle differenti condizioni climatiche, le stesse che fanno sì che si possano riscontrare differenze, a volte anche abbastanza evidenti, presso individui della stessa specie che però vivono in aree geografiche dalle condizioni climatiche differenti). Un esempio che vale per tutti è il noto esperimento che consiste nel porre larve di Cinthya cardui in un ambiente freddo per un certo periodo, per ottenere individui di colore diverso da quello usuale, cioè con le macchie nere ridotte e le tinte più sfumate uguali a quelle delle popolazioni situate più a nord.
Analisi della struttura delle ali di una farfalla. Presentiamo di seguito l'analisi delle ali di una farfalla presentata da L.G. Higgins e N.D. Riley nel libro "Butterflies of Britain and Europe" (clicca sull'immagine per ingrandire).
















Bibliografia:

- P. Passerin d'Entrèves e Mario Zunino, "La vita segreta degli Insetti", Istituto geografico De Agostini (Novara), 1975

- Foto dell'Erannis defoliaria(Geometridae) tratta da gardensafari.net

- Foto del maschio di Argynnis paphia (Nymphalidae) tratta da wikipedia.org

La metamorfosi completa delle farfalle

La larva della farfalla, chiamata bruco o baco, ha un aspetto che non ha nulla a che vedere con quello dell'insetto adulto. Una differenza tanto notevole da aver fatto pensare molti studiosi, in passato, che bruco e farfalla non avessero alcun legame genetico. Una serie di trasformazioni accompagnano il bruco nel percorso che lo condurrà verso una trasformazione radicale, la metamorfosi.
Le farfalle sono insetti olometaboli, cioè a metamorfosi completa, rispetto agli eterometaboli, nei quali la trasformazione non è completa, con la forma larvale che in questi ultimi assomiglia comunque all'adulto. La metamorfosi delle farfalle consta di quattro fasi distinte.
Uovo: le farfalle depongono le uova sopra o vicino a determinate piante, chiamate piante ospiti in quanto serviranno da cibo ai bruchi. La femmina, che generalmente muore subito dopo la deposizione delle uova, può deporre un numero vario di uova e con diverse modalità: esse possono infatti essere abbandonate singolarmente su foglie o steli, oppure in gran numero sulla pagina superiore o su quella inferiore delle foglie. Le uova vengono fissate al substrato mediante una sostanza vischiosa secreta da ghiandole appartenenti all'apparato genitale della farfalla femmina. Vi sono specie, infine, che depongono le uova durante il volo, in modo che si depositino su un terreno adatto per il futuro bruco, come accade presso molti satiridi.
La superficie dell'uovo è strutturata in modo da consentire alla larva contenuta al suo interno di essere perfettamente protetta dagli agenti atmosferici esterni. Il guscio che ricopre l'uovo è chiamato corion, in quanto costituito di corionina, una proteina dalla struttura particolarmente robusta. Il corion, tuttavia, non è impermeabile; in questo interviene un secondo involucro, presente all'interno, di natura cerosa. Quest'ultimo, rispetto al corion che è prodotto dalla madre all'atto della deposizione, viene prodotto dall'uovo stesso al suo interno.
Una volta deposto, l'uovo comincia a segmentarsi, attraverso la formazione di tre foglietti caratteristici, chiamati endoderma, ectoderma e mesoderma, che andranno a costituire i tessuti della larva.
Foto da Wikipedia.it 1: capo; 2: torace; 3: addome; 4: false zampe; 5: stigmi; 6: zampe

Bruco: Dall'uovo fecondato o sviluppatosi per partenogenesi (modalità di riproduzione in cui l'uovo può svilupparsi senza fecondazione), schiude una piccola larva che, dopo aver divorato quello che resta dell'uovo stesso, comincia a mangiare la pianta sulla quale si trova.
In queste fasi il bruco sfoggerà un appetito da record, sfruttando le mascelle robuste delle quali è dotato.
La testa del bruco è ben sviluppata e distinguibile dalle restanti parti del corpo: essa si presenta più o meno arrotondata, in certi casi anche appiattita. E' rivestita da una cuticola generalmente nuda, con rari peli. Presso alcuni Lepidotteri la testa può essere ritirata dall'animale entro il primo segmento del torace, fino a scomparire completamente.
Sul capo non sono presenti occhi composti, ma ocelli laterali, denominati stemmata, la cui posizione corrisponde a quella che nella farfalla sarà assunta dagli occhi composti.
Sul capo del bruco è inoltre possibile individuare le due antenne, di solito corte (il numero degli articoli che le compongono, i cosiddetti antennomeri, non supera i tre) e disposte ai lati.
Il bruco ha un apparato boccale di tipo masticatore; il lato superiore, o labrum, reca sei paia di setole impiantate sulla faccia dorsale e numerose strutture sensoriali sulla faccia ventrale.
Le mandibole, che assolvono la funzione di prendere e triturare l'alimento, sono molto sviluppate. Proprio a livello del labium, in una zona chiamata premento si può individuare la filiera, un tubo allungato deputato alla produzione della seta.
Il torace del bruco è composto da tre segmenti, che recano ciascuno una coppia di arti ambulacrali, corti e di forma cilindrica o appiattita. All'estremità di ciascun arto è solitamente presente un uncino.
I segmenti addominali, in numero di dieci come nell'insetto adulto, possono in parte portare le false zampe, ossia appendici carnose, molli, simili nell'aspetto ad arti veri e propri, che peraltro contribuiscono alla deambulazione del bruco. Le false zampe si distinguono in ventrali e anali in base alla loro posizione. Sono accomunate dall'avere la parte terminale allargata e servita da possenti fasci muscolari. Nell'insieme, essi possono essere utilizzati dal bruco come una ventosa, per fissarsi al substrato, anche grazie alla presenza di uncini disposti a corona.
Ai lati del corpo, il bruco presenta delle aperture chiamate stigmi, deputate alla respirazione. Sono spesso riconoscibili con facilità perché di un colore diverso rispetto al resto del corpo.
Lo sviluppo del bruco: le mute. La crescita del bruco avviene attraverso una serie di fasi di passaggio, nel corso delle quali la larva del lepidottero, cresciuta di dimensioni, deve liberarsi della cuticola, cioè la parte più esterna del tegumento che ricopre il corpo, perché essa non è estensibile al pari del corpo del bruco. Accade infatti che, man mano che il bruco cresce, la cuticola arrivi al punto di non essere in grado di contenere gli organi interni. Il fenomeno per cui il bruco cambia "pelle" e si dota di una cuticola nuova prende il nome di muta. In generale, nei Lepidotteri si va da un minino di due mute a un massimo di dieci.
Spesso, prima di sottoporsi alla muta, il bruco si fissa a un substrato attraverso fili di seta. Comincia quindi a inghiottire una grande quantità di aria in modo da aumentare la pressione interna. A quel punto, aiutandosi attraverso particolari movimenti di torsione, comincia a liberarsi della vecchia pelle che di solito si frattura lungo linee predeterminate del dorso. Questa pelle, una volta estratta, prende il nome di esuvie, e in certi casi viene divorata dal vecchio proprietario. Soltanto la cappa cefalica non può essere divorata dal bruco, perché troppo dura.
Poco prima della muta, lo strato cellulare sottostante alla cuticola secerne un liquido deputato al digerimento degli strati interni della stessa, in modo da separarla dal resto del corpo. La camera che in questo modo si forma tra l'ipoderma e la cuticola viene detta esuviale ed è ripiena di liquido, lo stesso che facilita lo scivolamento della vecchia pelle sulla nuova. La formazione di quest'ultima inizia infatti contemporaneamente al distacco della vecchia cuticola.
Foto da Wikipedia.it 1: capo; 2: torace; 3: addome; 4: stigmi; 5: cremastere; 6: pteroteche; 7: zampe e antenne; 8: spirotromba; 9: occhi composti.

Crisalide: quando ha raggiunto i limiti della sua crescita, il bruco cessa di alimentarsi e si mette alla ricerca di un luogo adatto per compiere la sua ultima muta, destinata a trasformarlo in crisalide. Essa prende il nome dal greco e significa alla lettera "piccolo oggetto dorato", un nome che non corrisponde alla realtà, se non in rari casi, come per la crisalide di Inachis io. All'interno della crisalide il bruco subisce una completa metamorfosi: il vecchio corpo scompare e si trasforma totalmente. Questo fenomeno è chiamato ninfosi, e può avvenire su una pianta o sottoterra, o, in generale, in luoghi che consentano al bruco di essere al riparo da pericoli esterni. Proprio il substrato scelto permette di effettuare una prima distinzione tra due tipi di crisalidi:
- nude, cioè non protette da strutture costruite dal bruco;
- protette, che possono essere contenute entro un bozzolo esogeo (fuori dal terreno), oppure endofite, contenute entro una struttura vegetale vivente, oppure ancora endogee, nascoste sottoterra.
Nel processo di ninfosi, la crisalide si libera dell'esuvia larvale, che spesso rimane attaccata al fondo della crisalide, rattrappita ma riconoscibile. L'operazione di liberazione dall'ultima cuticola viene compiuta dalla crisalide attraverso grandi sforzi e talvolta impiega molto tempo.
Terminata l'operazione, la crisalide inizia il suo riposo ninfale. In alcune specie non si muoverà più, in altre essa è capace di muovere l'addome (come nel caso delle crisalidi di Papilio Machaon e Pieris brassicae) in caso di pericolo o in prossimità della fase di sfarfallamento.
La durata di questa fase va dalle due settimane di molti Ropaloceri a un anno o più di molti altri. Essa può essere ampliata dal fatto che a volte l'insetto sverna in stato di crisalide per poi sfarfallare nella primavera successiva.
E' interessante notare come la crisalide presenti già degli aspetti che la fanno assomigliare alla futura farfalla: sono perfettamente distinguibili il capo, il torace e l'addome. Molto spesso, i peli sono assenti. Inoltre, spesso la crisalide presenta protuberanze o spine e può essere variamente colorata.
Sul capo della crisalide si possono già individuare gli occhi composti e le antenne, della lunghezza dell'adulto ma ripiegate ventralmente tra le zampe e le ali. E' visibile anche l'apparato boccale, già divenuto succhiatore. E' infatti evidente la spirotromba, ripiegata come le antenne ventralmente (in alcuni sfingidi, tuttavia, è libera e ricurva).
Sul torace si distinguono le tre paia di zampe. Interessanti sono poi gli abbozzi di ali, dall'aspetto di lamine subtriangolari, che vengono chiamate pteroteche. Si tratta di abbozzi di ali notevolmente ristrette, che nella crisalide pronta allo sfarfallamento sono ripiegate su loro stesse, tanto che le ali posteriori risultano pressoché invisibili perché coperte dalle anteriori.
Infine l'addome è composto dai dieci uriti che abbiamo visto nell'adulto, e che già in questo stadio sono privi delle false zampe del bruco. Sono invece ancora presenti gli stigmi dello stadio larvale, anche se l'ultimo paio non è funzionante. L'orifizio anale, come anche gli organi genitali maschili e femminili, non è funzionante, ed al suo posto è presente un solco.
L'ultimo segmento addominale reca un dispositivo di aggancio, il cremastere, che permette alla crisalide di rimanere ancorata al suo substrato.
Farfalla: Poco tempo prima dello sfarfallamento, dalle pareti della crisalide, progressivamente scuritasi, è possibile intravedere la struttura della farfalla ormai formata e i colori delle ali ripiegate attorno al corpo. A questo punto la schiusa, chiamata sfarfallamento, può avere luogo. La farfalla lacera il tegumento della crisalide e spunta con la testa. A questo punto l'immagine aspira una grande quantità di aria, mentre si aiuta con le zampe e con i movimenti del corpo. Affaticata e ancora completamente umida, con le ali accartocciate e prive di forma, la farfalla rimane ancorata alla spoglia ninfale. Le ali però cominciano subito ad asciugarsi e a distendersi, grazie all'aria aspirata dall'insetto che permette all'emolinfa (il sangue degli insetti) di scorrere rapidamente lungo le venature delle pagine alari. Così, in un lasso di tempo compreso tra un minuto e un'ora, la farfalla è pronta a spiccare il volo. L'ultima operazione da compiere consiste nell'espellere i rifiuti accumulati all'interno del corpo (il cosiddetto meconio) nel corso del periodo ninfale, a causa del fatto che l'orifizio anale della crisalide è chiuso.
E' bene precisare come la maturazione della crisalide dipende dalla temperatura e dalla luce dell'ambiente circostante.
La metamorfosi da una prospettiva fisiologica. Abbiamo ritenuto interessante, al termine di questa lunga disamina, analizzare brevemente i fenomeni della muta da una prospettiva fisiologica. Da questo punto di vista, la muta si verifica in seguito a precise attività di territori secernenti, controllati dal sistema nervoso centrale, in modo particolare dal sincerebro, il cervello della farfalla. Proprio nel sincerebro, infatti, è presente una zona attivamente secernente, pur mantenendo intatte le sue caratteristiche nervose, chiamata pars intercerebralis. Il suo neurosecreto raggiunge per via nervosa altre strutture secernenti, situate fuori dal sincerebro, che per la loro posizione prossima al vaso dorsale vengono dette corpora cardiaca. Queste ghiandole, una volta stimolate, producono un ormone cerebrale, verosimilmente derivato dal neurosecreto, che, una volta immesso nell'emolinfa, attiva le ghiandole protoraciche, situate nel primo segmento toracico. Le ghiandole protoraciche producono un ormone chiamato ecdisone, conosciuto anche come ormone della metamorfosi, che viene utilizzato dall'insetto per la sua ultima trasformazione, quella da bruco a farfalla.
Contemporaneamente interviene una seconda coppia di ghiandole, chiamate corpora allata, legate ai corpora cardiaca, che immettono nell'emolinfa l'ormone giovanile o ormone della muta. Quest'ultimo è responsabile delle mute e di inibire allo stesso tempo l'azione dell'ecdisone. Così, nella fase di crescita del bruco, i corpora allata secernono l'ormone giovanile, mentre la secrezione di ecdisone resta contenuta. Invece, prima della metamorfosi, la produzione di ecdisone aumenta a scapito dell'ormone della muta, che ricomparirà solo quando dovrà assolvere il compito di portare a maturazione le ghiandole sessuali della giovane farfalla. Mute e metamorfosi dipendono dunque dall'equilibrio delle quantità dell'ecdisone e dell'ormone della muta.

Bibliografia:
-P. Passerin d'Entrèves e Mario Zunino, "La vita segreta degli Insetti", Istituto geografico De Agostini (Novara), 1975
- Foto: bruco di Papilio Machaon (Papilionidae) tratta da ongarofrancesco.it
- L'immagine dell'uovo in bianco e nero è tratta da kidsbutterfly.org
- Foto: Inachis io (Nymphalidae) tratta da Wikipedia.it

La riproduzione, un gioco di sensi

L'accoppiamento delle farfalle è sempre un fenomeno interessante da studiare. Si tratta infatti del risultato di un gioco di sensi e movimenti che i due individui di sesso opposto, o uno solo di essi, mettono in atto per conquistare il compagno. Di solito l'accoppiamento avviene in volo, a partire dal momento in cui il maschio, rimasto tra l'erba in attesa del passaggio di una femmina, spicca il volo in direzione della compagna prescelta. Un esempio è rappresentato dalle parate di corteggiamento messe in atto dai maschi di Zerynthia polyxena.
Durante questa prima fase di corteggiamento, il maschio può emettere una sostanza odorosa avente la funzione di eccitare la femmina. Del resto, è stato accertato che il maschio non è in grado di individuare la femmina ricorrendo alla vista. Un'eccezione è rappresentata, per esempio, dai maschi delle Arginnis o di alcuni satiridi; i primi riconoscono la compagna dal colore delle ali e sono pronti a inseguire anche un pezzo di carta dipinto con i colori della femmina, mentre i secondi, basandosi sul riconoscimento delle tecniche di volo dell'altro sesso, possono mettersi a inseguire una farfalla di carta che esegue simili movimenti.
Ad ogni modo, la maggior parte delle farfalle utilizza l'olfatto per riconoscere il proprio partner. Per questo, spesso i maschi di alcune farfalle notturne sono dotati di lunghe antenne bipettinate, sulle cui espansioni laterali sono presenti i recettori delle sensazioni olfattive. Le femmine, invece, presentano sull'addome ghiandole odorifere deputate alla stessa funzione.
I maschi, poi, emettono segnali odorosi per attirare le femmine e renderle propense all'accoppiamento. Come abbiamo detto in precedenza, i maschi di paphia, per esempio, recano sulla pagina dorsale delle ali anteriori lunghe file di squame androconiali, caratteristica questa tipica anche di molti satiridi come Hipparchia semele.
E' interessante notare infine come i maschi di alcuni rappresentanti delle famiglie Nymphalidae e Papilionidae secernino durante l'accoppiamento una sostanza, lo sphragis, che, appena espulsa, forma una sacca che aderisce all'estremità dell'addome della femmina, ostruendo di fatto l'organo genitale come una sorta di sigillo in modo da impedire che la compagna possa riprodursi una seconda volta.
La partenogenesi presso i Lepidotteri. In un post precedente, parlando di uova dei Lepidotteri, abbiamo accennato al fenomeno della partenogenesi, in base al quale un uovo può svilupparsi senza l'intervento del sesso maschile. Questo fenomeno può essere di due tipi:
- partenogenesi spontanea, che, se avviene per l'assenza accidentale del maschio, fa sì che la femmina sia comunque in grado di accoppiarsi normalmente, e che da essa nascano sia maschi sia femmine. In altri casi, invece, può capitare che una specie si riproduca solo per partenogenesi, e le femmine danno vita solamente ad altri individui femmine;
- partenogenesi sperimentale, quando il fenomeno è riprodotto in laboratorio. In questo caso, utilizzando agenti chimici, fisici o meccanici si è riusciti a ottenere lo sviluppo completo dell'uovo deposto da una femmina non fecondata di Bombyx mori (baco da seta). Gli individui nati presentano però alterazioni genetiche considerevoli.
Il singolare fenomeno del ginandromorfismo. Nei Lepidotteri è possibile assistere al particolare fenomeno della comparsa di individui detti ginandromorfi. Si tratta di individui che presentano metà del corpo con caratteri somatici maschili e l'altra metà con caratteri femminili. Un fenomeno che risulta più evidente nelle specie in cui il dimorfismo sessuale è particolarmente accentuato. Per esempio, se il maschi di una specie reca ali gialle, mentre la ffemmina reca ali bianche, il ginandromorfo avrà le due ali destre di un colore, mentre le sinistre dell'altro.
Nei Lepidotteri è possibile inoltre riscontrare fenomeni di intersessualità, in cui un organismo, orientato verso un sesso nella fase di sviluppo, subisce un cambiamento a livello cellulare e diventa un misto di caratteri maschili e femminili. Quest'ultimo caso si può verificare quando vengono fatti riprodurre maschi e femmine della stessa specie ma provenienti da aree geografiche differenti.
Il ginandromorfismo dal punto di vista fisiologico. Il fenomeno del ginandromorfismo può essere spiegato dal fatto che una cellula uovo contiene due nuclei recanti ognuno metà del corredo cromosomico, e un solo cromosoma sessuale, X o Y. Se questi nuclei si fondono con quelli di due spermatozoi, che ovviamente contengono ciascuno il cromosoma X, da questo uovo si origina un embrione formato per metà da elementi maschili e per metà da elementi femminili.

Un esempio di ginandromorfismo: in basso a sinistra, Anthocharis cardamines maschio e femmina; a destra, Anthocharis cardamines ginandromorfo, con il paio di ali del maschio a sinistra e della femmina a destra.













Bibliografia:
- P. Passerin d'Entrèves e Mario Zunino, "La vita segreta degli Insetti", Istituto geografico De Agostini (Novara), 1975
- Foto: Papilio machaon (Papilionidae) tratta da naturefg.com
- Foto: coppia di Anthocharis cardamines (Pieridae) tratta da larcadinoe.com

Armi per sopravvivere: il mimetismo

Delicati e privi di difesa come sono, per sopravvivere i Lepidotteri mettono in atto sistemi di difesa tesi a sfruttare proprio il loro aspetto, in particolare i colori delle loro ali. Solitamente, infatti, la colorazione particolare delle ali delle farfalla è giustificata dal compito che esse hanno di mettere l'insetto al riparo da pericoli, mimetizzandolo o facendo da segnale di avvertimento della velenosità della specie nei confronti dei predatori.Il fenomeno del mimetismo può consistere nella capacità del lepidottero di confondersi con l'ambiente circostante in modo da risultare irriconoscibile, oppure nel tentativo di assomigliare ad altre specie di farfalle (di cui i predatori conoscono la velenosità) o insetti.
Una particolare forma di imitazione è il mimetismo batesiano, consistente nel fatto che una specie non comune, non protetta e commestibile per i predatori ne imita un'altra comune, protetta (per esempio grazie al cattivo odore emesso, al sapore disgustoso se mangiata dai predatori oppure grazie alla colorazione vivace utilizzata come "segnale" della velenosità della specie) e non commestibile, occupante il suo stesso ambiente. Ricordandosi delle disgustose esperienze fatte su una specie incommestibile, i predatori si astengono anche dall'attaccare le specie che esteticamente si presentano quasi identiche, pur essendo in realtà commestibili. Un esempio di mimetismo batesiano è rappresentato dal tentativo del ninfalide Limenitis archippus, commestibile, di assomigliare al velenoso Danaus plexippus (farfalla Monarca).
Simile al batesiano, e appartenente anch'esso alla categoria dei mimetismi detti di tipo fanerico, è il mimetismo mulleriano. Questo fenomeno si verifica quando due specie comuni ed entrambie protette si assomigliano reciprocamente. Una sorta di mutua difesa contro i predatori, di cui il classico esempio è rappresentato dai due ninfalidi Heliconius melpomene ed Helicomius erato, entrambi inappetibili e simili nella colorazione.
Al mimetismo fanerico se ne contrappone un altro, consistente nell'imitazione, da parte dei Lepidotteri, di foglie o altri elementi dell'ambiente circostante, attraverso la riproduzione della forma o del colore di questi ultimi. In questo modo, la farfalla passa inosservata agli occhi dei predatori. Un classico esempio è rappresentato dalla farfalla asiatica Kallima inachus (nella foto all'inizio del post), un ninfalide che ad ali aperte presenta una colorazione con tinte molto vivaci, ma che, avvertito un pericolo, chiude le ali immediatamente, mostrando la colorazione del lato inferiore in tutto identica a quella di una foglia secca, compresa la forma e la venatura.
L'adattamento di Biston betularia, un caso storico - Per concludere, un ultimo tipo di adattamento all'ambiente, anche se distante dai fenomeni trattati, è quello che riguarda la falena Biston betularia (Geometridae). Secondo il prof. E.B. Ford di Oxford questa specie rappresenta il più notevole esempio di evoluzione che sia mai stato rilevato in un organismo vivente. Infatti, sebbene la livrea di questo lepidottero sia solitamente bianca puntinata di macchie scure, in grado di mimetizzare la farfalla sui licheni dei tronchi, a partire soprattutto dal secolo scorso cominciò a diffondersi in maniera considerevole una forma melanica, il cui adattamento all'ambiente circostante fu favorito dall'accrescersi dei centri industriali e dal conseguente aumento dello smog, che scurirono i tronchi degli alberi. Ad ogni modo, è bene sottolineare che gli studi su questo fenomeno sono tuttora in fase di accertamento

Bibliografia:
- P. Passerin d'Entrèves e Mario Zunino, "La vita segreta degli Insetti", Istituto geografico De Agostini (Novara), 1975
- Foto: Kallima inachus (Nymphalidae) tratta da magicoflife.org
- Immagini tratte da unife.it

Le migrazioni dei poderosi volatori

Non meno peculiare dei fenomeni legati alla vita delle farfalle sin qui analizzati è quello delle migrazioni, che ogni anno vede alcune specie di Lepidotteri intraprendere, in gruppi numerosi, viaggi capaci di coprire anche distanze di migliaia di chilometri.
Questo fenomeno sociale interessa quasi tutti i rappresentanti dei Danaidae, anche se non mancano altre famiglie aventi specie migratrici.
Solitamente un volo migratorio viene intrapreso da una o più specie insieme. Durante il volo gli individui possono disporsi isolatamente o in gruppi, anche se recentemente gli studiosi hanno evidenziato come, nella maggior parte dei casi, i voli vengano intrapresi da gruppi consistenti nei quali si contano miliardi di individui. E' facile dedurre che questi voli riescono a coprire una superficie con un'area di migliaia di chilometri.

E' possibile individuare delle rotte migratiorie: Alcune specie volano dall'Africa al Nord dell'Europa, altre dall'America del Nord all'Australia. Gli sciami seguono sempre una direzione ben determinata, ma varia a seconda della specie e dei periodi dell'anno in cui avviene la migrazione. Si tratta, inoltre, quasi sempre di viaggi di sola andata: le farfalle che arrivano alla meta non torneranno al paese di origine, anche se con molte probabilità lo faranno gli individui da essi generati. Rappresenta un'eccezione alla regola il viaggio della farfalla Monarca, Danaus plexippus (nella foto a sinistra), che intraprende un volo stagionale con migrazione di ritorno. Queste farfalle partono in autunno, in gruppi consistenti, dal Nord America, volando di solito lungo le coste, ma in certi casi possono trovarsi ad attraversare i centri abitati. Sono dirette verso le regioni tropicali o subtropicali del Sud, dove trascorreranno l'inverno conducendo spesso una vita solo parzialmente attiva. Il volo verso nord comincia a primavera, ma gli individui sono molti di meno. Durante il viaggio le femmine della Monarca depongono le uova sulle asclepiadacee, piante erbacee o arbustive, raramente arboree. Su queste piante i bruchi si svilupperanno fino a diventare adulti. E' a questo punto che le farfalle abbandonano la regione per riprendere il viaggio verso nord raggiungendo, in certi casi, persino il Canada.
Attualmente le Istituzioni scientifiche dei Paesi interessati dai fenomeni migratori, per chiarire molti punti ancora oscuri riguardo ai complessi voli migratori delle farfalle, stanno lavorando in sinergia, attraverso studi che prevedono la cattura, la marcatura e la rimessa in libertà di esemplari destinati ad essere catturati nuovamente in altro luogo.
L'Italia è interessata dai flussi migratori di certi rappresentanti della famiglia Pieridae (generi Colias e Pieris), e della famiglia Nymphalidae (molte specie di Vanesse, tra cui Cynthia cardui o Vanessa del cardo, nella foto a sinistra); anche alcune farfalle notturne compiono voli migratori, come certe specie di Sfingidi, Nottuidi e alcuni Microlepidotteri. Ogni anno, queste specie compiono viaggi da sud verso nord; provenendo dall'Europa meridionale e dall'Africa raggiungono l'Europa centrale ed anche l'Inghilterra e la Scandinavia; esse possono presentare nelle regioni di arrivo una o più generazioni l'anno, ma gli adulti sopravvivono all'inverno soltanto in casi eccezionali. Spesso, poi, queste specie non trovano le condizioni adatte a riprodursi nei luoghi di arrivo.
Anche l'uomo, in certi casi, può contribuire all'inserimento di una specie in un ambiente ad essa estraneo, attraverso il trasporto, attivo o passivo, di larve o adulti della stessa.
Per concludere, è interessante notare come, tra i fenomeni sociali in cui si inserisce quello delle migrazioni, ve ne siano altri altrettanto particolari. Alcune specie di farfalle usano riunirsi in gruppi per il sonno notturno e possono perfino costituire una sorta di comunità, come è stato notato presso alcuni Licenidi e Ninfalidi.

Bibliografia:
- P. Passerin d'Entrèves e Mario Zunino, "La vita segreta degli Insetti", Istituto geografico De Agostini (Novara), 1975
- Foto: gruppo di farfalle Monarca (Danaus plexippus) tratta da Wikipedia.org
- Foto: Danaus plexippus (Nymphalidae Danaidae) tratta da Illinois State Musemum
- Foto: Vanessa del cardo, Vanessa cardui o Cynthia cardui (Nymphalidae) dal web



La nomenclatura di Linneo


Il sistema nomenclatoriale, utilizzato per ovviare alla varietà dei nomi comuni usati in ogni paese per le specie animali e vegetali, è stato ideato nel 1753 dal naturalista svedese Carl von Linné (comunemente italianizzato in Linneo). Oggi, per gli animali in generale, i nomi utilizzati sono quelli presenti nella decima edizione del Systema naturae (1758-59) di Linneo.
Il sistema nomenclatoriale di Linneo è conosciuto anche come sistema di nomenclatura binomiale, in quanto associa a ciascuna specie (chiamata anche taxon: qualunque categoria tassonomica, come la classe, il genere, la sottospecie è chiamata in questo modo) due nomi in latino, scritti entrambi in corsivo:
- il primo si riferisce al genere e accomuna le specie che condividono caratteristiche simili. E' un sostantivo al nominativo singolare, scritto con la lettera iniziale maiuscola
es. Papilio machaon

- il secondo nome, invece, è il nome specifico utilizzato per distinguere ciascuna specie dalle altre dello stesso genere. Può essere un sostantivo o un aggettivo e si scrive di regola con l'iniziale minuscola
es. Papilio machaon

E' importante sottolineare come il nome della specie può essere formato anche da due parole, nel qual caso si inserisce un trattino tra i due termini in modo da evitare confusione.
Al nome della specie segue poi quello del suo scopritore, in carattere diritto e solitamente abbreviato, e l'annotazione dell'anno di pubblicazione della prima descrizione accettata della specie
es. Papilio machaon L. 1758 (oppure Linn, Linnaeus o Linné)

I sottogeneri, quando presenti, hanno l'iniziale maiuscola e sono scritti in corsivo. Sono inoltre preceduti dall'epiteto "sect." ("sectus"), oppure si possono citare tra parentesi
es. Vanessa (Pyrameis) cardui

Infine, le sottospecie si indicano facendo seguire un terzo nome dopo quello della specie. Le sottospecie si indicano con una nomenclatura trinomia
es. Papilio machaon aliaska

Fra il nome della specie e quello della sottospecie si può introdurre l’abbreviazione “ssp” o, più modernamente, “subsp” (= subspecies), entrambe in carattere diritto.
Quando viene denominata una specie nuova, essa viene generalmente descritta in base ad un certo numero di esemplari. Uno solo di essi, il tipo, viene poi scelto come quello sul quale verrà giudicata l'identità della specie. Solitamente, il tipo viene cartellinato con un particolare contrassegno (come nella foto a sinistra, su cui è riportata la scritta Lectotype: il lectotipo è, appunto, il tipo di riferimento per l'identificazione della specie).

Spesso il nome delle famiglie presenta la desinenza "-idae". Il nome delle sottofamiglie presenta invece la desinenza "-inae".

Per concludere, è bene dare dei suggerimenti per le situazioni di classificazione più complicate:
- se nella descrizione di un esemplare non si conosce il suo nome specifico, si cita l'ordine o la famiglia di appartenenza; es. Coleoptera acquatici.
- se si conosce il genere ma non la specie, si scrive il primo (iniziale maiuscola), seguito da “sp.” (=
species): es. Limenitis sp. ( = una specie di farfalla non determinata del genere Limenitis).
- se si crede di aver determinato la specie ma non si è sicuri, si scrive “cfr.” (confronta) prima del nome della specie; es. Papilio cfr. machaon
- se si crede che un esemplare sia un ibrido fra due specie, si pone il segno × fra i due nomi, per sottolineare l’incrocio.

Link consigliati: The Linnean Society: collezione di Linneo online

Le regioni zoogeografiche

I biografi suddividono convenzionalmente la Terra in regioni zoogeografiche o ecozone, macroregioni che presentano specificità faunistiche e floristiche dovute a fattori geografici e ambientali. Esse sono delimitate da barriere geografiche come oceani, catene montuose o deserti. La suddivisione della Terra in regioni zoogeografiche si deve al geografo e naturalista britannico Alfred Russel Wallace, i cui studi sono stati ripresi in tempi recenti da Pielou e Udvardy. Il termine ecozona è stato coniato da J. Schultz.
Le farfalle popolano tutte le terre emerse e ogni specie occupa una precisa area geografica, detta areale. Le dimensioni di questi areali possono essere variabilissime: dai pochi chilometri quadrati di un rilievo montuoso all'intera superficie delle terre emerse. In quest'ultimo caso le specie vengono dette cosmopolite mentre quelle caratteristiche di una determinata zona sono chiamate endemiche. Questa diversità è in funzione di vari fattori ambientali: si può affermare che una specie si diffonde su un territorio finché non trova una barriera che ne impedisce l'espansione (oceani, montagne, ecc.). In realtà, barriere geografiche o ecologiche possono insorgere anche all'interno di un areale, creando così delle discontinuità che sono caratteristiche della maggior parte dei lepidotteri.
Oltre che da fattori ambientali e climatici l'areale di una specie dipende anche dalla sua capacità di colonizzazione. Le farfalle, essendo buoni volatori, sono in grado di disperdersi facilmente. L'eccezione è rappresentata, per esempio, da alcuni rappresentanti degli Psichidi, le cui femmine sono attere e perciò la dispersione della specie è affidata quasi esclusivamente alle larve. Anche l'uomo contribuisce spesso all'ampliamento dell'areale di una specie, attraverso il trasporto di farfalle o larve da un luogo all'altro del pianeta. In quest'ultimo caso, superati eventuali ostacoli contro la dispersione, la specie attraversa la critica fase della dispersione. Numerosi fattori intervengono in questo processo, sia legati alla specie (cambio della pianta nutrice, tolleranza climatica, variabilità genetica, ecc.) sia al nuovo ambiente (clima, vegetazione, predatori e parassiti, ecc.).
Regione paleartica. Si tratta della più vasta delle regioni zoogeografiche, comprendendo l'Europa, l'Africa a nord del Sahara e l'Asia centrosettentrionale. In quest'ultima area il confine meridionale è rappresentato dalla possente catena hymalaiana. Come si può ben comprendere dalla vastità di tale territorio, la paleartide presenta una notevole varietà di condizioni ambientali, partendo dalla macchia mediterranea o dalla foresta subtropicale giapponese-coreana fino alla tundra artico-siberiana. A questa eterogeneità ecologica corrisponde però una relativa povertà di specie dovuta alle sue vicissitudini climatiche. Durante il Pleistocene infatti le glaciazioni che durarono quasi ininterrottamente per circa mezzo milione di anni ed ebbero fine circa 10.000 anni fa, contribuirono all'estinzione o alle migrazioni delle specie di climi caldi. Non a caso numerose sono le specie adatte ai primi freddi che si rinvengono sui massicci montuosi di questa regione.
Le famiglie di Lepidotteri più importanti della regione paleartica per numero di specie e diffusione sono i Geometridi (3.000 specie) e i Nottuidi (2.000 specie), assieme ad alcuni gruppi di Microlepidotteri. Tra i Lepidotteri Ropaloceri più conosciuti troviamo i Pieridi Pieris napi, Anthocharis cardamines, i Ninfalidi Argynnis paphia, Apatura ilia, Limenitis camilla, Charaxes jasius, i Licenidi Lycaena phlaeas, i Satiridi Maniola jurtina e Hipparchia fagi, e i Papilionidi Papilio machaon e Iphiclides podalirius.
Regione neartica. Comprende l'America settentrionale e la parte del Messico a nord del 20° parallelo. La sua fauna mostra una stretta affinità con quella della paleartide. Tale somiglianza è estesa anche alle vicende climatiche: anche la neartide ha infatti vissuto le glaciazioni pleistoceniche. Molti scienziati, interpretando i molti legami esistenti tra le faune del Nordamerica, dell'Europa e dell'Asia settentrionale come segni di interscambi faunistici (forse interrotti da millenni), individuano un'unica entità territoriale, chiamata regione olartica, comprendente tutte queste regioni boreali. Tra i generi olartici di Ropaloceri ricordiamo Colias, Erebia, Clossiana, Boloria, Parnassius. Esaminando nel dettaglio la fauna nordamericana, si vede come le specie ad affinità eurasiatica diminuiscano progressivamente procedendo da nord a sud. Questo è dovuto sia a fattori climatici sia a un maggiore scambio faunistico con la vicina regione neotropicale. In Florida, ad esempio, circa l'80% delle specie di Lepidotteri Ropaloceri è raggruppato in generi neartici e neotropicali. Ricordiamo tra questi ultimi i Papilionidi Papilio aristodemus e Graphium marcellus e i Ninfalidi Danaus plexippus ed Heliconius erato. Tra i Saturnidi possiamo invece trovare i più noti endemismi neartici: Actias luna, Callosamia promethea, Automeris io, ecc. La regione californiana, in particolare, si può definire una delle zone con il maggior numero di endemismi dell'intero continente nordamericano. Questo può essere spiegato con la presenza di barriere che hanno impedito scambi genetici con le vicine popolazioni. Ricordiamo infatti le Montagne Rocciose, i deserti dell'Arizona e Nuovo Messico e il Golfo di California.
Regione paleotropicale. Comprende il confine africano a sud del Sahara e la parte meridionale della penisola Arabica. Il Madagascar, con i vicini arcipelaghi delle Comore, Mascarene e Seicelle, per la sua fauna ricchissima di endemismi, viene considerato da alcuni autori una regione a se stante (regione malgascia), da altri come una sottoregione. Basti ricordare che su circa 300 specie di Ropaloceri conosciuti ben 230 sono endemiche. Esaminando i tipi di vegetazione dell'intera regione paleotropicale, si può dire che foresta pluviale, savana e prateria siano i più diffusi, sebbene in maniera alquanto discontinua. La foresta pluviale tropicale è senza dubbio uno degli ambienti più interessanti per i Lepidotteri. La sua frammentazione, dovuta all'alternanza in epoche storiche di periodi pluviali e interpluviali, ha provocato la formazione di numerose specie che sono oggi endemiche della foresta pluviale. Le aree geografiche più ricche di specie, prendendo in esame i Ropaloceri, sono il Camerun (1.150), lo Zaire (1.000), la Costa d'Avorio (750) mentre notevolmente impoverito è il Sud Africa (200). I Licenidi, con circa 1.100 specie, sono i più rappresentati mentre scarsamente lo sono i Satiridi, Riodinidi e Libiteidi. Le affinità maggiori sono con la regione indomalese, particolarmente a livello di Ropaloceri: ricordiamo i generi Melenitis, Acraea, Kallima, Charaxes, Neptis, ecc.
Regione neotropicale. Questa regione è molto più ricca di specie della precedente. Essa comprende l'America centromeridionale, le Antille e le Galapagos. La diversificazione della fauna all'interno di questo territorio è notevolissima, data la sua complessità climatica e topografica. Il margine occidentale è infatti percorso dalla catena andina, con cime che superano i 6.000 metri, mentre il rimanente è costituito da deserti, steppe, altopiani tropicali ed estese foreste pluviali. Esistono alcune affinità con la regione paleotropicale, particolarmente evidenti nei Ninfalidi. Questo, secondo alcuni autori, potrebbe derivare dal fatto che, sino al Cretaceo, America meridionale e Africa erano uniti, con conseguente scambio faunistico. Tra le famiglie più tipicamente tropicali sono da citare i Morfidi, veri gioielli volanti della foresta pluviale; tra i Ninfalidi ricordiamo il genere Agrias, i cui individui sono caratterizzati da un'enorme varietà di colori al punto da ingannare gli entomologi del passato, con la creazione di numerose specie. I Brassolidi comprendono le famose Caligo, note per i segnali di avvertimento a occhio di civetta presenti sul rovescio delle ali posteriori.
Regione indomalese. E' quella che presenta più caratteristiche tropicali. Essa comprende tutta l'India e l'Indonesia con il limite sudorientale formato dalle isole della Sonda. Abbonda la foresta tropicale, per quanto un tempo più estesa, mentre solo nella parte occidentale dell'India perninsulare sono presenti delle zone aride. Particolarmente interessante è il popolamento delle isole della Sonda (Sumatra, Giava, Borneo, ecc.) dove l'innalzamento e l'abbassamento del livello del mare durante le ere geologiche ha provocato numerose separazioni e ricongiungimenti delle isole. Questo ha favorito la formazione di numerose sottospecie, specie o gruppi di specie molto vicine tra di loro. Ricordiamo nei Licenidi i generi Poritia, Allotinus e nei Ninfalidi Amathusia e Tanaecia.
Regione australiana. E' in parte tropicale e in parte temperata. Essa comprende Australia, Tasmania, Nuova Guinea, Nuova Zelanda e le isole minori. L'Australia e la Nuova Guinea sono le aree con la lepidotterofauna più ricca. La Nuova Guinea è totalmente tropicale assieme alla fascia settentrionale e orientale dell'Australia, mentre a sud vi sono estese foreste temperate. I Lepidotteri della foresta pluviale sono in gran parte di provenienza indomalese e molto più interessante è invece la fauna delle aree legate a Eucalyptus e Acacia. A questi due gruppi vegetali sono legati numerosissimi lepidotteri tra cui ricordiamo le 2.500 specie di Ecoforidi seguiti da Tortricidi, Epialidi, ecc.

Bibliografia:
- "Farfalle", Orsa Maggiore Editrice, prima edizione aprile 1990
- Foto e immagini tratte da L'Arca di Noè e dal web